Benvenuti a             "L'Angolo del Sommelier"

Buongiorno sono Franco Bignone un appassionato di vini e di cucina da sempre, Sommelier FISAR, e Assaggiatore Esperto ONAV, produco vino, Dolcetto, Barbera e Merlot a Rocca Grimalda, ormai da quasi dieci anni. Ho una lunga esperienza in Chimica, Biologia, Genetica tutti argomenti che costituiscono un'ottima base concettuale per l'Enologia. Professionalmente mi sono occupato di ricerca scientifica operativa in varie istituzioni in Italia e Nord America.

In questo blog si parlerà di vino e di vini in maniera specifica, presentando diversi prodotti del territorio, ma si parlerà anche di argomenti riguardanti il vino in generale. 

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PROGRESSO

Pianta di Acacia di Costantinopoli detto anche l'albero della seta
Pianta di Acacia di Costantinopoli detto anche l'albero della seta

Progresso scorsoio

Mi ha colpito recentemente l'intuizione di Andrea Zanzotto, un poeta, sulla nostra situazione ambientale, anche se lui vedeva un significato più ampio nei suoi versi. Siamo con la corda al collo, più energia abbiamo a disposizione, più riusciamo a crescere, più cresciamo più stringiamo

il cappio dei nostri prodotti di scarto che rischiano di soffocarci. Spesso i poeti, e Zanzotto in particolare, sono in grado di sintetizzare sensazioni, sentimenti, realtà, molto meglio di chiunque altro. L'idea di un progresso che in realtà funziona come la corda dell'impiccato è terribilmente

corretta, con tutte le implicazioni che ha, racchiuse in due parole.

In apertura di questo articolo ho lasciato un'immagine che ho già utilizzato su questo blog, una delle mie Albizie in piena fioritura estiva.

Questa pianta è interessante per varie ragioni, non è una pianta autoctona, è una pianta con un apparato radicale molto ampio, proviene storicamente dal vicino oriente, Medio Oriente, infatti uno dei suoi nomi comuni è Acacia di Costantinopoli, essendo stata importata nel 1750 da Filippo degli Albizi, da cui il nome. La pianta si trova nelle zone tropicali di Africa, Asia e Australia. In realtà richiederebbe un terreno più ricco del mio, e con una buona irrigazione estiva, ma si adatta benissimo al mio terreno argilloso e terribilmente secco in estate. Non è adatta ad un clima eccessivamente freddo in inverno ma resiste bene se

mantenuta più asciutta nel periodo estivo, inoltre è leggermente invasiva, può generare altre piante spontaneamente. In altre parole è molto rustica e resiste bene anche all'inquinamento. Personalmente l'ho scelta, e ne sto mettendo altre perché sto cercando di mantenere il più possibile piante che richiedano un intervento minimo da parte mia. Essendo localizzate sulla cima di una collina le piante ricevono soltanto l'acqua piovana a parte eventuali miei interventi con l'acqua del pozzo. Ovviamente è possibile, con misure opportune, coltivare qualsiasi pianta in ogni ambiente. Quello che cambia, da pianta a pianta, è la quantità di energia, acqua, luce, temperatura, che occorre fornire per farle sopravvivere. La zona in cui si trova il mio terreno è particolarmente vocata per la coltivazione della vite, questo significa che molte altre piante hanno grosse difficoltà di

sopravvivenza, le viti hanno la possibilità di mandare radici molto in profondità per cercare l'acqua. Per poter cultivare altri tipi di piante sarebbero necessarie cure tali da trasformare l'attività agricola in qualcosa di molto simile ad una serra computerizzata, di questo però discuteremo un'altra volta.

Le ragioni della mia scelta sono legate al fatto che negli ultimi decenni il clima sta cambiando, è un processo al momento non arrestabile, l'introduzione delle macchine, a partire dal 700, con la rivoluzione industriale inglese ha creato un circolo vizioso, che è andato espandendosi sempre di più, è un problema molto difficile da risolvere e siamo in una situazione ormai critica.

La storia inizia appunto nella prima metà del 700, anche se tentativi furono inizialmente realizzati da Denis Papin nel 1679 e da Thomas Savery nel 1698, è con Thomas Newcomen nel 1705 e sopratutto con James Watt nel 1765 che si cominciano ad avere motori a vapore utili ad azionare pompe. Le pompe erano molto importanti nell'Inghilterra del periodo per rimuovere l'acqua

dalle miniere di carbone in primis, ma anche per altri usi. Il progresso successivo è stato molto veloce sia per l'industria estrattiva, sia per i trasporti. Per dare un'idea le macchine iniziali di Savery riuscivano a pompare acqua dalle miniere di carbone ad una altezza di circa 8 metri, ma già con i primi modelli di Newcomen si raggiungevano i 45 metri e la macchina era in grado, nel 1711, di sostituire il lavoro fatto da 500 cavalli e dai loro addetti per trasportare l'acqua fuori dalle miniere. Questo fatto, unito ad una crisi dell'approvvigionamento della biada, creò un circolo virtuoso (vizioso?) in cui aumentava la produzione del carbone, utile per alimentare le macchine. Nel giro di una ventina di anni la potenza aumentò ed aumentò la loro utilizzazione al posto di mulini ad acqua, uomini ed animali per la produzione della forza lavoro. Come sia continuata questa storia è noto, motore a scoppio, motore elettrico, motore a reazione, poco più di un secolo.

Partita la Rivoluzione Industriale, sono iniziati i problemi di inquinamento, di generazione eccessiva di anidride carbonica nell'atmosfera, di surriscaldamento, ma questa è solo una parte della storia. L'altra metà collegata è l'aumento della popolazione, già nel 1798 Thomas R. Malthus nel suo saggio An essay of the principle of the population as it affects the future improvement of society" (Un saggio sul principio della popolazione e su come influenzi il futuro miglioramento della società), metteva in guardia in merito al problema del possibile aumento della popolazione e dei suoi effetti. L'influenza di Malthus (1766-1834), un economista, è stata ampia sia sugli economisti del suo periodo sia sui successivi, ed ha avuto anche un'influenza in ambito scientifico dove la sua analisi matematica è stata ampliata da altri nei periodi storici successivi con studi anche dettagliati sulle dinamiche di popolazioni sia animali sia per l'uomo. Per quanto riguarda l'inquinamento il primo di cui ho notizia che abbia puntualizzato i rischi legati all'aumento di anidride carbonica nell'atmosfera è stato Svante Arrhenius (1859-1927), premio Nobel per la Chimica nel 1903. Il suo lavoro, pubblicato nel 1895, basato anche sui lavori di altri scienziati del periodo tra cui John Tyndall (1820-1893) discute dell'effetto dei gas sulla temperatura della terra. Le previsioni di Arrhenius, basate sui dati di allora, supponevano un aumento dell'anidride carbonica molto più lento di quello che si è poi verificato nei decenni a seguire.

Quale è la situazione attuale ? Molto in sintesi: le ppm (parti per milione) di anidride carbonica nell'atmosfera sono al momento circa 415 e la popolazione mondiale è 7.69 miliardi di persone. I dati che abbiamo, ottenuti con i carotaggi dei ghiacciai e altri mezzi, indicano una concentrazione di CO2 nell'atmosfera massima, almeno nell'ultimo milione di anni, di 300 ppm.

All'inizio dell'800 avevamo una popolazione di meno di un miliardo di individui, con una quantità di CO2 di 230 ppm circa nel periodo pre-industriale. Ossia la CO2 è quasi raddoppiata e la popolazione mondiale e diventata 7 volte più numerosa. La nostra situazione ricorda quella dei lieviti nel mosto, più zucchero troviamo più ne consumiamo, più alcool produciamo, fino a morirne, che è quello che succede sempre nella fermentazione. Ma riusciamo a reagire a questa situazione in maniera razionale ? Apparentemente non molto, o meglio, gli scienziati hanno messo in evidenza il pericolo sin dagli anni 70-80 e s potevano implementare politiche adatte sin da allora per limitare l'impatto della antropizzazione ma poco o nulla è stato fatto e cominciamo a vederne ormai gli effetti.

Uno degli effetti secondari del riscaldamento globale è lo stress indotto dalle ondate di calore sulla produzione vinicola. negli ultimi decenni si è assistito ad un innalzamento del grado zuccherino delle uve portate a maturazione. Questo fatto ha aumentato nei nostri territori la gradazione dei vini ottenuti dopo la fermentazioni, siamo al punto in cui ormai in alcune annate il

contenuto zuccherino genera prodotti che hanno un contenuto in alcool di 16-17 gradi. E' già successo in anni recenti con la Barbera, ed in genere le gradazioni si sono alzate in maniera generalizzata.

Se il problema persiste arriveremo al punto in cui i vini rimarranno con un residuodolce ineliminabile.

Recentemente è stato pubblicato un lavoro sulla rivista Frontiers in Microbiology in cui, un gruppo di ricercatori dell'Università di Ancona e dell'Università della Rioja in Spagna, hanno studiato varie specie di lieviti, non Saccharomyces, con un rendimento metabolico in alcool più basso rispetto ai lieviti classici, cervisiae e bayanus. Utilizzando questi lieviti, o misture di questi con dei

lieviti classici, si pensa di poter abbassare il grado alcolico dei vini se questi hanno un contenuto zuccherino iniziale troppo alto. Si cerca quindi di tamponare l'effetto del clima con un artificio tecnico opportuno a posteriori.

In maniera simile si sta lavorando in molti laboratori e vivai per la produzione di piante, selezionate con tecniche differenti, in grado di resistere al meglio alle condizioni imposte dai cambiamenti climatici, sia nei termini di resistenza alle malattie sia di resistenza al clima. In questo ambito un intervento abbastanza immediato e relativamente semplice è l'utilizzazione di portainnesti più resistenti alla siccità.

Ovviamente interessanti questi approcci sono però per altro una follia, sarebbe necessario cercare di rallentare il riscaldamento

globale piuttosto, ma questo è un problema che non è locale, coinvolge il controllo delle emissioni a livello mondiale. Inoltre l'impatto del riscaldamento è differente per i diversi paesi, il riscaldamento che tende a bruciare i nostri prodotti risulta benefico in altri paesi, ormai si produce vino in Inghilterra, trovare un accordo generalizzato diventa quindi molto difficile.

Una soluzione, o la possibilità di una soluzione, è quella proposta da William Nordhaus, premio Nobel per l'Economia nel 2018, e sarebbe l'istituzione di un sistema di tassazione della produzione di CO2 in modo da rendere sempre più caro l'utilizzo di energia inquinante, ma la strada da fare è molto lunga e purtroppo il tempo che abbiamo a disposizione troppo poco.

CONVIVIO

Piacere e vino

 

Ho già parlato dei rapporti tra vino e politica, parziale declinazione delle correlazioni tra vino e potere. Uno degli aspetti relativi a questo rapporto è ovviamente anche legato alla rappresentazione sociale delle interazioni tra gli uomini, specialmente se questi sono uomini di potere. Il convivio, l’intrattenimento sociale, le feste ed I banchetti, come mezzo per “intavolare” relazioni e trattative, accezione che mette in evidenza il legame tra il cibo e l’effetto che il cibo deve veicolare. In questo ambito Palazzo Podestà, o Palazzo di Nicolosio Lomellino, sito in Via Garibaldi al numero 7, a Genova, ne costituisce un buon esempio. Il Palazzo è parte della lista che costituisce il Sistema dei Rolli, riconosciuto come Patrimonio Unesco nel 2006. L'idea del Sistema dei Rolli era quella di fornire una versione grandiosa di un bed & brekfast ante litteram per i plenipotenziari e sovrani in visita alla città, utilizzando a turno le dimore genovesi che facevano parte di quest'elenco. Ovviamente le magioni dovevano corrispondere a criteri di sontuosità, simili alle stelle attuali. Quello che rende il Palazzo interessante sono I dettagli di struttura architettonica, ed in questo caso anche paesaggistica, che danno un’idea del livello raggiunto dai nobili Genovesi nel ‘600. Il Palazzo è stato costruito a metà del '500, 1559-1565, ed è rimasto di proprietà dei Lomellino per un breve periodo, all'inizio del '600 (1609) passò già di mano, rispettivamente ai Centurione prima, ai Pallavicini (1711) ed ai Raggi successivamente, sino a diventare nell'800 proprietà di Andrea Podestà, più volte sindaco di Genova nella seconda metà dell'800. Il progetto iniziale di Giovan Battista Castello, il "Bergamasco", e di Bernardino Cantone sviluppa a Genova lo stile di stucchi introdotto nel Palazzo del Principe, proprietà di Andrea Doria, negli anni 1529-1533, da Perino Buonaccorsi, detto Perin del Vaga (1501-1547), allievo di Raffaello, che li utilizzò nelle Logge Vaticane. La facciata mostra erme femminili alate, festoni, nastri, armi, ghirlande, nei toni dell'azzurro e dell'ocra. L'atrio riprende su una pianta ovale i decori esterni sui toni azzurri e bianchi in stile manierista, dopo Firenze e Mantova, dove nel periodo 1524-1534, venticinque anni prima, Giulio Romano costruisce il Palazzo Te.

Sempre nell'atrio, come sfondo visibile dalle terrazze sovrastanti il retro del palazzo, verso il giardino a terrazze che sale in direzione di Catelletto, si trova un ninfeo settecentesco che occupa un'altezza su due piani, disegno di Domenico Parodi (1672-1742), che è anche il responsabile dell'attuale disposizione del giardino soprastante.

Un interessante inciso riguarda la presenza all'interno del Palazzo di affreschi incompiuti di Bernardo Strozzi (1581-1644), eseguiti negli anni venti dei '600 e raffiguranti la “La Fede che sbarca nel Nuovo Mondo”. I dipinti, commissionati da Luigi Centurione, rappresentano l'arrivo di Cristoforo Colombo nel Nuovo Mondo assieme alla Fede ed ai Quattro Evangelisti. L'affresco, lasciato incompiuto dallo Strozzi per diatribe di soldi con la committenza è stato riscoperto nel 2002 dietro un controsoffitto che lo ricopriva. La famiglia Centurione celebra con quest'opera il suo ruolo di cofinanziatore dell'impresa. Ricordo che uno dei documenti comprovanti l'origine genovese di Colombo riguarda un'atto notarile, il cosidetto Documento Assereto, comprovante i rapporti tra Colombo e i Centurione per il commercio dello zucchero e risalente al 1478, il documento è dell'anno successivo. 

Ma la parte superiore del giardino è forse ancora più interessante per le sue simbologie. Il giardino utilizzava le acque provenienti da Castelletto per alimentare i ninfei e le fontane. Ricordo che esiste a tutt'oggi un torrente, completamente ricoperto che scorre sotto Via Luccoli, Via Orefici, Piazza Banchi sino al mare e che era in origine uno dei punti di approdo del porto, e che proviene dalla collina. Le acque convogliate dietro alla villa venivano accumulate in una torre che funzionava sia da punto sopraelevato di osservazione sia da riserva d'acqua,fatta erigere dal Lomellino è tuttora visibile ed ha una struttura simile ad un minareto.

Nell'ampia area sovrastante si trovano un'area lastricata in ciottoli con una fontana circondata da aiuole molto ampie ripiene di soli Agapanthus, fiori azzurri, come i colori della facciata e dell'atrio. Il nome deriva dal greco agàpe (amore) e ànthos (fiore). Ricordo che il genus Agapanthus fu stabilito dal botanico Charles Louis L'Héritier de Brutelle nel 1788. 

La parte restante del giardino al livello superiore è apparentemente molto semplice ma piena di rimandi all'amore, all'eros, ed al vino. Nell'ampia area sovrastante si trovano un'area lastricata in ciottoli con una fontana circondata da aiuole molto ampie ripiene di soli Agapanthus, fiori azzurri, come i colori della facciata e dell'atrio. Il nome deriva dal greco agàpe (amore) e ànthos (fiore). Ricordo che il genus Agapanthus fu stabilito dal botanico Charles Louis L'Héritier de Brutelle nel 1788. 

E' quindi ovvio che l'aggiunta sia più recente, rispetto al periodo di costruzione del giardino, la pianta è originaria del Sudafrica la cui colonizzazione iniziale risale al 1652 da parte di coloni Olandesi. Su uno dei due lati una galleria in ferro sostiene una schiera di Glicini, anch'essi ovviamente azzurri in fioritura. Da notare che le due fioriture sono asincrone, si avrà quindi in primavera prima la fioritura dei glicini e poi quella degli Agapanthus su di una linea la prima, su dei quadrati azzurri la seconda. In testa al giardino si trovano inoltre due finte grotte, la prima è un secondo ninfeo dove troneggino due figure un Bacco, con il suo otre di vino, e dietro la figura di un satiro beante. Sul lato di sinistra un'altra grotta con due figure un arciere a grandezza naturale nell'atto di utilizzare una qualche arma, ormai scomparsa, contro un cinghiale, anch'esso in marmo, nascosto all'interno della grotta. A decorare le grotte stalattiti e stalagmiti vere provenienti dalle grotte di Toirano.

 

I rimandi qui sono molteplici, Bacco che beve aiutato dai fauni con code e gambe caprine. Il rimando al vino e a Dioniso, alla natura ed all'ebbrezza. Nella seconda grotta è interessante il simbolismo del cacciatore e del cinghiale. Quello che personalmente trovo intrigante è l'atteggiamento della figura e di conseguenza il rimando mitologico. La leggenda a me nota riguardo al cinghiale è quella relativa al cinghiale Calidonio. La leggenda fa capo a due storie in qualche modo distinte, la prima, che sembra il rimando relativo alla grotta, è quella della uccisione di Adone da parte di Ares, che utilizza il cinghiale come strumento di morte ingelosito dell'amore di Adone ed Afrodite. Di questa storia ne esistono svariate versioni, in alcune il mandante è Apollo, sempre geloso di Adone, e con varie altre complicazioni. In questo caso si tratterebbe quindi di Adone che sta per combattere contro il cinghiale Calidonio ma che finirà poi per soccombere.

 

 

La continuazione della leggenda vede la successiva uccisione del cinghiale da parte di Meleagro che organizza una caccia con una ventina di altri eroi mitologici. Quello che è interessante è che tutte le iconografie relative rappresentano la caccia al cinghiale sempre con le lance, le picche, mai con l'arco. Quindi in qualche modo l'iconografia resta dubbia ma è comunque probabilmente riconducibile al mito di Adone e Afrodite.

In questo senso allora, l'agape, l'amore e l'eros, il vino, Bacco, i satiri, Dioniso, si apre uno scenario in qualche modo unitario, comunque utile per impressionare sicuramente gli ospiti. I vini serviti a tavola, magari nei giardini, circondati da suggerimenti all'amore ed al buon vivere, veicoli perfetti per buoni affari e altro. Emerge quindi il rapporto tra vino ed eros, sia in senso proprio sia in senso lato, come veicolo di fascinazione.

La storia del vino e dell'eros è ovvimente lunga dai Greci, ai Romani, al Rinascimento, L'interazione è simbolica, reale nei suoi aspetti fisiologici, mitica, coinvolgente per tutti i sensi e comprende tutte le simbologie che abbiamo visto: l'amore, agape, Dioniso e Bacco, la sensualità complice, l'ebbrezza, l'appagamento dei sensi e l'amore, Venere e Adone. La letteratura è sterminata, dai classici all'ode al vino di Neruda, passando anche per i poeti arabi. Quale ambiente migliore di un giardino pieno di simbologie che rimandano a questa unione, pieno di elementi estetici incluso un po' del vicino oriente con una torre a minareto ?

 

COMPLESSITA'

Sotto al titolo una fotografia di una pianta di acacia di costantinopoli in piena fioritura (Albizia julibrissin), detto anche albero della seta.
Sotto al titolo una fotografia di una pianta di acacia di costantinopoli in piena fioritura (Albizia julibrissin), detto anche albero della seta.

L'effetto dell'ambiente

Negli ultimi dieci anni sto mantenendo e coltivando un terreno in Alto Monferrato (Rocca Grimalda) di circa un ettaro. Inizialmente era un prato, a parte alcune piante ornamentali, in quello che era stato concepito come il giardino della casa. Ho aggiunto svariati alberi, partendo da piante molto piccole che hanno richiesto diversi anni per crescere, e ne richiederanno ancora. Oltre a questo ho tagliato l'erba in momenti adatti a lasciare alle piante la possibilità di fiorire e fare semi. Ho messo a dimora un pino, roverelle (Quercus pubescens), querce farnie (Quercus robur), diversi tipi di pioppi, diversi tipi di aceri, salici, alberi da frutta, noci, piracanta (Agazzino), rose officinali, e altro. Le piante hanno richiesto anni prima di raggiungere dimensioni di 3-4 metri. Per il resto, il prato, ho lasciato fare alla natura ed ho coltivato la vigna, che occupa una parte del terreno, con l'inerbimento totale dei filari, sfalciando regolarmente.

I volatili sono sempre stati presenti, ma tipicamente pochi, il resto dei terreni che circondano la casa sono tenuti a prato o monocoltura di vite, anche se esiste una zona abbastanza selvatica poco distante in un vallone.

Negli ultimi due o tre anni ho visto cambiare la popolazione di uccelli che circolano sul terreno, sopratutto sono comparsi i passeri, che divorano totalmente i frutti colorati delle piracanta, le rondini e i merli, che prima non vedevo, mentre sono sparite le cinciallegre. Vedrò come evolverà, continuerò ad aggiungere piante differenti, sperando in una ulteriore evoluzione. 

Ovviamente questo è poco più di una impressione ma ho un dato quantitativo incontestabile, nei primi anni i frutti delle piracanta rimanevano sino a marcire a migliaia sulle piante, negli ultimi due anni spariscono prima di Natale in un frullare continuo di uccelli. Il risultato sinora mi piace, ma non è certo la ricostruzione di un ambiente ecologico. La pianta in figura, una acacia di costantinopoli (Albizia), perfettamente adattata, e che si riproduce spontaneamente, è una pianta non autoctona per questo territorio, come altre piante che ho messo a dimora. C'è poi un problema di scala, con un ettaro si riesce soltanto a migliorare un terreno, la ricostruzione di un ambiente ecologico avviene su scale molto più ampie.

 

Con metodi ben diversi, ossia con un lavoro scientifico dettagliato, uno studio recente ha dimostrato che la ricostruzione di territori abbandonati dalle coltivazioni con la crescita di alberi non è sufficiente per reintegrare un'ecologia corretta. Lo studio, commentato su National Geographic e pubblicato su Nature Communications, si riferisce ad un programma di

riforestazione attuato in Cina a partire dal 1999, il così detto Grain for Green Program (GFGP), ed attuato su milioni di ettari. Quello che l'articolo dimostra è che la biodiversità rimane scarsa, malgrado gli sforzi messi in atto. Questo perchè le piante scelte sono di poche varietà ed il tempo dall'inizio del programma, 20 anni, è ancora troppo breve.

Il problema è appunto legato alla complessità. Il concetto di "complesso" e lo studio della "complessità" hanno iniziato ad emergere, in Fisica, in Chimica e Biologia a partire dagli anni '60-'70, per poi diventare ricerca operativa fiorente negli anni '80 e '90, dando origine ad un ambito di ricerca ben definito che al momento comprende studi anche in molti altri ambiti.

Uno dei concetti emersi è legato, specialmente per l'ambito Biologico e Biochimico, alla necessità di un numero abbastanza grande di interazioni differenti per il mantenimento stabile di un sistema. Semplificando un sistema Biologico, sia un organismo od un ecosistema, si mantiene in maniera corretta se le interazioni sono tante e differenti. Detto in altri termini un sistema per mantenersi sano ha bisogno di diversità, più è diverso più riesce a mantenersi stabile. Esemplificando, gli uccelli tendono a specializzarsi, alcuni mangeranno semi, altri mangeranno insetti, altri mangeranno piccoli animali, la loro sopravvivenza dipende da quanto un cerco territorio offre, e da quanto offre durante tutto l'anno. Sia gli insetti sia le piante hanno cicli stagionali, semi e insetti non sono sempre presenti tutto l'anno per sfamare gli animali. Diventa quindi necessario che le piante che vanno a seme e gli insetti, arrivino a maturità in un periodo il più lungo possibile. Si capisce quindi come la diversità, piante precoci, intermedie e tardive, insetti differenti con cicli riproduttivi differenti, siano necessari per mantenere una popolazione di animali in grado di prosperare. Questo permette agli animali di non morire di fame ma ha anche un effetto di contenimento sulle piante e sugli insetti di cui questi animali si nutrono, con il risultato di mantenere la loro popolazione contenuta. Ovviamente questo è un minimo esempio di interazioni che sono in natura molto complesse, schemi simili avvengono nelle competizioni tra insetti e tra piante e, nel terreno, in quelle tra funghi e batteri.

Tutto queso interagire, questo cibarsi a vicenda gli uni con gli altri, genera quello che costituisce un ambiente ecologico. Alle interazioni tra gli animali, tra le piante e tra i microorganismi del suolo vanno poi aggiunte le interazioni con l'ambiente, sia esso il clima - ore di sole, piogge, temperature medie - sia la geologia del terreno - argille, marne, rocce -. Considerato globalmente su una certa area questo genera le caratteristiche di un territorio, il famoso "terroir" dei francesi, il "genius loci", che da ultimo è ormai risaputo essere di importanza fondamentale per il vino.

Ma questo ha delle conseguenze nell'utilizzazione del territorio, la monocoltura estensiva andrebbe monitorata e regolata in maniera opportuna altrimenti si genera disequilibrio. Ogni territorio ha una sua "natura", all'uomo conviene, per una utilizzazione corretta, cercare di limitare il più possibile il suo impatto. La coltivazione forsennata di un'unica specie vegetale andrebbe evitata, il disequilibrio lascia a certe specie la possibilità di crescere indisturbate generando infestazioni. Si crea allora un circolo vizioso con l'intervento forzato di controlli che tendono a semplificare l'intervento peggiorando in ultima analisi la situazione. Si dovrebbe cercare di studiare il modo di mantenere un equilibrio corretto, quantitativo e ponderato, tra le parti di un territorio dove si lascia che la natura faccia il suo corso e quelle parti che vengono utilizzate dal'uomo per le proprie necessità. La saggezza dei monaci Cistercensi che hanno creato storicamente le prime classificazioni dei "clos" in Francia, i territori particolarmente adatti a coltivare la vite, dovrebbe essere tenuta molto di più in considerazione, anche per una gestione corretta del nostro futuro. In altre parole dovremmo cercare di imitare la loro saggezza..

E' facile ottenerlo ? No, non lo è per molti motivi, è un lavoro improbo che implica molta conoscenza e molto studio ed è un problema molto difficile da analizzare e da studiare e che implica anche sacrifici oggettivi in merito alla nostra fatica e limitazioni al nostro profitto che però sono necessari, in ultima analisi ne va della nostra sopravvivenza, il riscaldamento climatico è ormai una realtà, e i segni che si cominciano a vedere sono nefasti, ma di questo riparleremo un'altra volta.

PROFUMI

La vetrina del negozio di Armanino, frutta secca, candita e spezie, In Via di Sottoripa nel Centro Storico di Genova.
La vetrina del negozio di Armanino, frutta secca, candita e spezie, In Via di Sottoripa nel Centro Storico di Genova.

L'essenza del vino

 

Ebbene sì, i Sommelier sognano tutti di avere il naso di Jean-Baptiste Grenouille, personaggio inquietante inventato da Patrick Süskind nel suo romanzo "Perfume", anche se è forse un po' sinistro come esempio genera sicuramente invidia in moltissimi colleghi. Un'alternativa potrebbe essere possedere il naso di un Lagotto, come ha ricordato Andrea Scanzi immaginando la trasmissione delle capacità olfattive con un morso, una specie di virus dell'olfatto. Ma la maggior parte delle persone ha un naso normale, alcuni hanno probabilmente un naso sotto la norma, la percezione olfattiva è una carateristica individuale che varia da persona a persona.

Soglie olfattive: un profumo è raramente percebile a distanze maggiori di qualche metro dalla sorgente, anche ad elevate concentrazioni, ammine e mercaptani, invece, responsabili dell'odore di putrefazione, si avvertono a centinaia o migliaia di metri. Gli animali saprofagi, gli spazzini naturali, percepiscono questi odori a chilometri di distanza. L'utilità nel loro caso di un olfatto così pronunciato è ovvia. Le rispettive soglie di identificazione variano quindi di diversi ordini di grandezza, vanno da 0,1-10 ppm dei primi agli 0,00001-0,1 ppm dei secondi. Le ppm, parti per milione, esprimono il rapporto in peso, considerando un litro di acqua 1 ppm corrisponde ad 1 mg (milligrammo, millesimo di grammo) disciolto appunto in 1000 grammi.

Quello che cambia nei diversi animali, in sostanza, è la dimensione dell'organo, noi abbiamo circa 6 milioni di recettori olfattivi, variabili da 5 a 10, un cane ne possiede da 125 a 300 milioni, oltretutto le sue narici sono messe ad una distanza tale che gli permettono di percepire la direzione di provenienza meglio di noi e sono mobili. Anche il cervello ha zone deputate alla ricezione più grandi delle nostre, ed il naso ha una fisiologia specifica diversa dalla nostra, ad esempio è continuamente umido. In sostanza non c'è gara.

La bottega di Armanino & Figli, frutta secca e spezie, in Via di Sottoripa 115 a Genova.
La bottega di Armanino & Figli, frutta secca e spezie, in Via di Sottoripa 115 a Genova.

Relativamente ai profumi c'è poi un problema aggiuntivo, che è inevitabilmente il genere di problemi che si incontrano quando c'è l'industria di mezzo, la segretezza e il guadagno. Ci si viene quindi a trovare in una situazione in cui i professionisti difficilmente svelano i loro segreti. Ci sono ditte specializzate negli elenchi di correlazioni tra odori e molecole coinvolte che pubblicano elenchi e testi che costano migliaia di euro. Scuole sui profumi, come quella di Grasse o quella di Parigi, dedicate principalmente allo studio e produzione per l'industria della moda e dei cosmetici che implicano la dedizione di anni per poter entrare in questi ambiti. Industrie di produzione di olio, caffè, vini (specialmente Champagne), cioccolato, che hanno gruppi di "nasi" che svolgono la funzione di creare un prodotto costante. Ad esempio è notissimo il caso dello Champagne Kruger che ha sempre un sentore di mele ossidate. Si finisce facilmente in un mondo complesso dove gli esperti si tengono stretti i loro segreti perché da questi dipende il successo o il fallimento dei loro prodotti. Quali sono allora i trucchi per riuscire nell'impresa ? In realtà trucchi plateali non ce ne sono, ci vuole pazienza e voglia di assaggiare molti vini e non solo. Il vino è un mondo estremamente complesso, sia in quanto a numero di produttori e quindi di prodotti disponibili, sia in quanto a varietà, specialmente in Italia, di vini, vitigni, e di tipologie di vino. Questo è un problema ma anche un'opportunità di divertimento, sono talmente tanti i vini disponibili, e talmente differenti i risultati, che non si finisce mai di stupirsi e di divertirsi.

Ma qualche trucco è disponibile, uno di questi sono le tisane di frutta e di spezie, i miscugli che trovate su molte bancarelle dei mercati con frutta secca di ogni tipo: mele, pere, limoni, arance, frutti rossi, kiwi, mango, ananas, ma anche i pomodori secchi, presenti come profumi in molti vini, spezie come anice stellato, chiodi di garofano, salvia, origano, pepe, tutti profumi che trovate nei negozi specializzati, erboristerie o negozi di frutta secca. In genere sono un buon allenamento per il neofita e permettono di allenare il naso in un modo decisamente piacevole.

BAROLO

Chiostro superiore della chiesa di Santa Maria di Castello a Genova
Chiostro superiore della chiesa di Santa Maria di Castello a Genova

Louis Oudart e Paolo Staglieno

Una vulgata diffusa tra Sommelier ed esperti del vino attribuisce spesso alla Marchesa Giulia Colbert Falletti ed a Camillo Benso Conte di Cavour la

nascita del Barolo, con la consulenza dell’Enologo Francese Luis Oudart. Per i Sommelier francofili diventa la dimostrazione che il Barolo ha origini Francesi. Questa affermazioni deriva da una affermazione di Marescalchi e Dalmasso che, nel loro testo "Storia della vite e del vino in Italia", datano al 1840 l'anno in cui Cavour affida ad Oudart la cura dei vigneti di Grinzane. Ma questa affermazione non ha al momento riscontri storici. Per quello che ci riguarda è possibile affermare che ben più sicuramente Genova ha avuto la sua importanza per la nascita del Barolo, ed il territorio del Gavi in particolare.

Come riportato da Wikipedia che cito di seguito: “Il Nebbiolo viene coltivato nella zona del Barolo da tempo immemorabile, ma è grazie alla caparbietà di Camillo Benso Conte di Cavour e di Giulia Colbert Falletti, ultima marchesa di Barolo, che si cominciò a produrre, a metà dell’Ottocento un vino eccezionalmente ricco ed armonioso, destinato a diventare l’ambasciatore del Piemonte, dei Savoia, nelle corti di tutta Europa." Come ho ricordato anche nell'articolo precedente non esistono evidenze certe dell'intervento di Louis Oudart (1802-1881). Il testo di wikipedia propende invece più per un ruolo per Paolo Francesco Staglieno, che è sicuramente il riferimento per la creazione del Barbaresco, sempre da uve Nebbiolo, e autore del manuale “Istruzione intorno al miglior metodo di fare e conservare i vini in Piemonte”, pubblicato nel 1835. Da notare già qui l'incongruenza delle date, il testo di Staglieno precede di cinque anni il supposto incarico ad Oudart.

Staglieno (1773-1850) , la cui famiglia vantava una storia millenaria nell'area di Genova, inclusa la Corsica, era nato a Voltaggio, nei possedimenti dell'Oltregiogo. fu cadetto nella Milizia Genovese, comandante del Battaglione della Guardia, e dopo le vicende legate al Congresso di Vienna, ufficiale dell'Esercito del Regno di Sardegna, diventando nel 1831 comandante del forte di Bard, sino al 1836. Ritiratosi dalla vita militare fu incaricato da Carlo Alberto delle tenute reali di Pollenzo (1836-1846) e fu anche consulente enologo della tenuta di Grinzane, nominato da Cavour.

Il periodo storico è quello dell'asse Torino-Genova per l'esportazione dei prodotti piemontesi tramite il porto. Occorrevano quindi vini che resistessero il trasporto senza alterarsi. Questo aspetto si ritrova anche nell'attività di Louis Oudart, domiciliato in Piazza Santa Maria di Castello, la cui ditta "Oudart-Bruché" produceva in uno stabilimento a Genova 15-18'000 bottiglie di Champagne, paragonabili ai cru di questa regione, se con uve piemontesi non è specificato. Mentre è specificata l'attività di Oudart stesso in territorio Piemontese a partire dal 1833. Questo è riportato in una lettera inviata al Conte di Castagnetto (1802-1888) nel 1842 da Oudart per la commercializzazione dei propri vini. Louis Oudart, che non è da confondere con l'omonima famiglia produttrice di Champagne, nacque nel 1802 a Vitry-le-Francois, nella Marna a sud di Chalons-en-Champagne, è quindi abbastanza ovvia l'origine delle sue conoscenze sul vino. Purtroppo questa conoscenza non è suffragata da documenti, la città di Vitry andò distrutta durante le guerre mondiali.

Abbiamo quindi due storie parallele che lasciano dubbi per l'attribuzione. Oudart inizia la produzione di vini in Piemonte quando Staglieno è ancora comandante del forte di Bard. Staglieno pubblica nello stesso periodo il suo testo di viticoltura. Le conoscenze che dimostra portano a pensare che si occupasse di viticoltura già da molto tempo.L'anno successivo alla pubblicazione lascia il forte di Bard per le tenute Reali di Pollenzo.

Interessante notare che Oudart e Bruché, cugini, vissuti tra Piazza San Matteo e Piazza di Santa Maria di Castello a Genova, si erano interessati anche alla produzione di un vino spumante "Vin Mousseux Clos de Sante Victoire" nella tenuta di Pollenzo di cui esiste prova dell'etichetta .Da notare per inciso il testo contemporaneo, 1839, di Domenico Milano,"Cenni di enologia teorico- pratica", in cui l'autore propugna l'utilizzazione del Nebbiolo per la produzione di Champagne con vinificazione in bianco. Risulta inoltre che Oudart fosse in contatto con produttori della zona di Bobbio per la produzione, falsificazione o imitazione che fosse, di vini famosi dell'epoca con uve dell'Oltrepò Pavese.

Esistono inoltre prove di corrispondenza per l'utilizzazione delle cantine di Pollenzo e per l'acquisto delle uve, da parte di Oudart, con Cesare Trabucco di Castagnetto, sovrintendente della tenuta reale, nel 1845, periodo in cui Staglieno è ancora responsabile enologo. Come se nella pratica commerciale Staglieno sia stato messo da parte dal sovrintendente che tratta di nascosto con i francesi.

Questa storia potrebbe andare avanti molto a lungo ma quello che sembra emergere è una storia molto più complessa e variegata delle poche note trattabili in questo blog. In sintesi tra gli anni che vanno dal 1830 al 1850 avviene un cambiamento profondo nell'atteggiamento riguardante i vini sia in Piemonte sia in Liguria. Il tentativo di fondo è quello di rendere i vini migliori e più vendibili specialmente in un ambito internazionale a imitazione dei successi della Francia. Contemporaneamente le conoscenze tecniche migliorano indubbiamente ed i risultati arrivano.

Di chi sia la primogenitura è secondario, i documenti ed i testi illuminano sporadicamente uno scenario complesso lasciando numerosi dubbi da entrambe le parti, i protagonisti, principali e secondari restano abbastanza indefiniti. Quello che è evidente è il cambiamento delle procedure e della tecnologia che hanno portato alla nascita di un grande vino, il Barolo.

Per approfondire: Louis Oudart e i vini nobili del Piemonte: storia di un enologo francese, di Anna Riccardi Candiani; A. Marescalchi, G. Dalmasso, Storia della vite e del vino in Italia; Paolo Francesco Staglieno, l'Istruzione intorno al miglior modo di fare e conservare i vini in Piemonte.


BARBERA

L'atrio del Palazzo Grillo-Cattaneo di Piazza delle Vigne a Genova, dopo il recente restauro. Attualmente un Hotel, con una collocazione ovviamente simbolica.
L'atrio del Palazzo Grillo-Cattaneo di Piazza delle Vigne a Genova, dopo il recente restauro. Attualmente un Hotel, con una collocazione ovviamente simbolica.

 

Lotte politiche 

Riferirsi alle lotte politiche parlando di territorio e di vini può sembrare forzato ma così non è, nel post precedente abbiamo introdotto l'Oltregiogo e la Divisione di Genova, con le Province di Genova e di Novi Ligure, cancellate e riorganizzate per ragioni politiche, questo semplice atto d'imperio, ormai dimenticato, ed avversato allora dagli abitanti del posto,

ha cambiato la vita di molti e lo status politico ed economico di una grossa fetta di territorio. Storicamente, la Repubblica di Genova non era l'unico cliente per i vini dell'Oltregiogo, anche Milano beneficiava dei vini prodotti in zona. Nelle poesie di Carlo Porta si parla del vino di Rocca Grimalda, attualmente parte della DOCG "Ovada", nel testo de l'"Olter desgrazzi de Giovannin Bongee"si fa riferimento al vino della Rocca. Ilconsiglio è "per cascia via la scighera", la nebbia, l'annebbiamento, "Rézzipe,dighi, on bon biccer de vin." la ricetta è un buon bicchiere di vino, il toccasana che costa quattordici soldi, "quattordea boritt", di Rocca Grimalda. Anche qui siamo in politica, con le poesie del Porta: anticlericali, satiriche, sboccate, siamo nel 1812 per quanto riguarda la citazione di Rocca Grimalda. 

Nel vino, come nel pane, c'è tutto, ci sono mille odori, variazioni modificazioni e aggiunte, culture, sino ai simboli sacri cristiani, corpo e sangue - Per inciso: il grano, il vino, e gli uomini, impiegano tutti nove mesi a nascere -. Nei secoli si sono sedimentate simbologie e abitudini che arrivate ai giorni nostri hanno creato attitudini, atteggiamenti, leggende, realtà e bugie, ormai tutte sfruttate a fini commerciali.

Una delle principali, storicamente, era la differenza d'uso tra le classi agiate ed il popolo, contadini principalmente, popolino delle città. Oltre a scacciare la "scighera" come consiglia Giovannin Bongee il vino serviva ad evitare l'acqua spesso inquinata di fonti e pozzi ed a combattere la fatica di zappare e arare terreni argillosi. Storicamente ci sono sempre state due tipi di produzioni, una produzione per la vendita, il vino migliore che veniva prodotto dagli agricoltori anche piccoli, ed il vinello, ottenuto aggiungendo acqua sulle vinacce, a gradazione molto bassa, per il consumo familiare specialmente nei campi, per combattere la fatica. In tempi più recenti anche con l'aggiunta di zucchero per migliorarne la gradazione. 

'Ma infin, per cascia via la scighera, Rézzipe, dighi, on bon biccier de vin.
....
Che adess tomaroo mi col tocca e salda, De quattordea boritt, Rocca Grimalda. ...'

CARLO PORTA 1812

Il vino in vendita aveva altre gradazioni, ma era una fonte indispensabile di reddito per le famiglie e se ne beveva soltanto in occasioni speciali. Inoltre avrebbe "tagliato le gambe", ridotto le forze per il lavoro nei campi, cosa che con il vinello non succedeva. I vini dei Nobili, dei Notabili e dei Patrizi erano altri, erano la parte migliore della produzione.  


Le nazioni unificate e ricche come l'Inghilterra e la Francia hanno creato il mito dei vini Bordolesi, Borgognoni, del

Porto. Per l'Italia, suddivisa in piccoli Stati, in decadenza generale dopo la fine del '700, i vini locali avevano importanza sia per il popolino sia per i ceti abbienti, che non bevevano tipicamente gli stessi prodotti, la gente che viveva nei palazzi, come quello riprodotto in apertura, aveva gusti certamente raffinati. Questa dicotomia dura ancora adesso e si riflette spesso ancora nei prezzi dei prodotti, specialmente nel mercato internazionale. Un vitigno come la Barbera, con "dizione" Piemontese, pur essendo stimato e valutato come merita anche storicamente, ha sofferto e soffre, rispetto al Nebbiolo, il suo utilizzo più misto. Questo vale ancora di più per il Dolcetto, sempre considerato vino da bere giovane malgrado abbia ottime capacità di invecchiamento se vinificato opportunamente. Tipicamente i "vini dei contadini" in zona, Gavi e Ovada, erano un misto di Dolcetto e Barbera in uvaggio, ossia ottenuti mescolando le uve in proporzioni differenti. Il Dolcetto a dare colore, corpo e gradazione, il Barbera principalmente acidità e capacità maggiore di invecchiamento.

Ovviamente il Nebbiolo, ed il Barolo che ne deriva hanno un'altra nomea, le origini del prodotto odierno, il Barolo, vengono fatte risalire a Camillo Benso Conte di Cavour, a Giulia Colbert Falletti, ultima marchesa di Barolo, all'Enologo, socio della Reale Società Agraria di Torino e commerciante di vino in Genova, Louis Claude Oudart - pur con molti dubbi al riguardo dovuti all'assenza di documenti storici comprovanti la partecipazione di Oudart ed i suoi contatti con Cavour -, all'interesse di Carlo Alberto di Savoia e di Vittorio Emanuele II, che sicuramente non lavoravano nei campi. Quante volte si sente la frase "il Barolo, il re dei vini, il vino dei Re", e questo diventa un viatico per le odierne differenze di prezzo.

Il valore del Nebbiolo, come il valore dei vini Bordolesi e Borgognoni, dal punto di vista organolettico e di qualità è indubbio, ma questi vini sono anche simboli, come un gioiello o un'automobile. Si creano allora fazioni, partigianerie, discussioni a non finire che riflettono la loro storia differente, ed i loro estimatori riflettono spesso correnti politiche facilmente riconoscibili, ovvie. La scelta non è solo fatta sulle caratteristiche oggettive del contenuto delle bottiglie, ma con il cuore, con l'orgoglio, anche l'orgoglio di classe, la voglia di impressionare, di stupire, ..... l'ideologia appunto.

Per approfondire: Louis Oudart e i vini nobili del Piemonte: storia di un enologo francese, di Anna Riccardi Candiani: Poesie. Testo milanese a fronte, di Carlo Porta. Traduttore: P. Valduga. Palazzo Grillo Cattaneo, Hotel, Genova, Piazza delle Vigne. 


QUALITA'

La vetrina della pasticceria Pietro Romanengo, in Via Soziglia 74r nel Centro Storico di Genova, dal 1784. Una foto dell'intera vetrina grande mezza pagina di giornale, è finita sulla prima pagina dell'inserto "Travel" del New York Times, alcuni anni fa
La vetrina della pasticceria Pietro Romanengo, in Via Soziglia 74r nel Centro Storico di Genova, dal 1784. Una foto dell'intera vetrina grande mezza pagina di giornale, è finita sulla prima pagina dell'inserto "Travel" del New York Times, alcuni anni fa

Qualità e storia

 

La Repubblica di Genova, sino all'annessione con il Regno d'Italia, aveva il confine tra Novi Ligure ed Alessandria, un cartello posto lungo la strada provinciale che collega le due città ricorda ancora adesso questo fatto. Quest'area è stata parte della Repubblica di Genova per secoli a partire dal 1300. La regione veniva definita "Oltregiogo" ed è esistita sino alla seconda metà dell'800, formalmente era una zona parte del Sacro Romano Impero ma era amministrata dalle famiglie genovesi che qui avevano molte proprietà. L'artefice della sua scomparsa è stato uno dei primi Ministri del Regno d'Italia Sabaudo, Urbano Rattazzi (1808-1873) nativo di Alessandria, nel 1859. La Divisione di Genova, fu istituita nel 1819 dopo il Congresso di Vienna del 1815, e manteneva i vecchi confini di influenza della Repubblica dopo l'annessione forzata al Regno di Sardegna. La Divisione era allora costituita dalle Provincie di Genova e Novi Ligure, il Rattazzi eliminando Novi Ligure e spostandola sotto la giurisdizione di Alessandria, con alcuni comuni sotto la giurisdizione di Pavia e Piacenza, tese anche probabilmente a ridurre l'influenza amministrativa genovese sulla zona dopo i moti del 1849. Moti che videro il generale Alfonso La Marmora, spalleggiato dalla flotta Inglese, bombardare la città a cui seguì un violento saccheggio.

A parte la brutta pagina di storia patria il territorio ha comunque una vocazione geografica verso sud, vista la vicinanza con la costa ligure. Nei tempi storici in cui la disponibilità del freddo non era quella attuale si sono inventati mille modi per conservare durante i mesi invernali le prelibatezze dell'estate. I legami con questi territori a nord di Genova hanno sentito l'influenza delle necessità della città portando metodi e reddito ai contadini delle valli. Questa tradizione si è mantenuta pressoché intatta sino ad oggi e costituisce attualmente un motivo di richiamo turistico con prodotti introvabili altrove.

In anni recenti la vetrina della pasticceria Pietro Romanengo ha attirato l'attenzione dei reporter del New York Times, finendo sulla prima pagina della sezione "Travel". L'articolo, assieme ad un altro articolo sulla città di Genova, più recente, sono opera di Michael Frank, estimatore della città.

Ma adesso si assiste ad un ritorno, finite le vestigia delle famiglie genovesi, trasformati i palazzi in musei, sedi bancarie, negozi, alberghi, l'oltregiogo è ormai diventato sede di molte realtà economiche che in parte continuano la tradizione. Continua così dalla fine del settecento la produzione di dolci, cioccolate, pasticcini,cotognate, sciroppi, perle di rosolio, pandolci e altro, dei pasticcieri genovesi, produzioni tutte basate sui prodotti agricoli dell'appennino e dell'oltregiogo, a parte la cioccolata e lo zucchero. Ma sono anche 'scesi a mare' dall'oltregiogo pasticcieri come Cavo, o i prodotti dell'Outlet di Serravalle, ricercati avidamente da tutti, genovesi e milanesi, canditi di viole e di rose, marron glacé. In centro storico a Genova Cavo, pasticceria storica, gestisce ormai tre luoghi storici, due bar-pasticceria deliziosi, una situata in Piazza Fossatello, l'altra, con annesso ristorante, in Via Davide Chiossone, dopo aver rilevato l'antica pasticceria Vedova Romanengo. Altri imprenditori, di origine dall'oltregiogo gestiscono lo splendido negozio di design di Via Garibaldi 12, nel palazzo che fu dei Lomellino dei Salvago e degli Spinola. In un set che è un palazzo costruito nel 1565 sono in vendita oggetti di design contemporaneo che trovano la giusta collocazione in sale con affreschi originali che vanno dall'epoca della costruzione sino alla fine del '700.

Ma sinora la situazione del vino è molto differente. Utilizzato dalle famiglie genovesi per secoli il prodotto proveniente dalle zone di: Gavi, Predosa, Capriata, Novi Ligure, Ovada, Rocca Grimalda, Carpeneto, etc. era considerato principalmente una commodity, un'utilità, che probabilmente ogni famiglia benestante produceva nelle sue ville principalmente per sé e per l'uso quotidiano. La profonda crisi in cui è entrato il settore negli anni 20-30 del novecento ha ridotto notevolmente la produzione. Da qui i coltivatori hanno dovuto fare di necessità virtù vendendo il vino sfuso a prezzi bassi. Malgrado il vino di Rocca Grimalda sia stato citato anche dal Porta nelle sue poesie nell'800, la zona ha subito il fatto di non essere vicina al cuore del regno. La situazione è cambiata con l'avvento delle Denominazioni di Origine nel 1963, e poi con il riconoscimento per il Dolcetto di Ovada e per il Gavi risalente al 1974, ossia 11 anni dopo la prima legge. Per il riconoscimento della DOCG si è dovuto attendere sino al 1998 per il Gavi, Cortese di Gavi, ed il 2008 per il Dolcetto di Ovada Superiore, denominazione Ovada.

Negli ultimi venti anni i produttori hanno potuto contare su di un supporto migliore per la veicolazione dei loro prodotti, anche se la strada da fare è ancora molta la qualità dei prodotti e del territorio hanno migliorato la situazione. Ma in molti casi anche per il Barbera o per altri vitigni la qualità è alta con prodotti di notevole pregio che, globalmente, potrebbero far felici i protagonisti del '600 che fecero del secolo, secondo gli storici un "sistema imperial hispano- genovés". Ma di questo ovviamente, riparleremo. 

 

Vediamo ora nel dettaglio un vino Gavi Barrique.

VINO: Re.Lys Gavi DOCG

Tipologia: Gavi, DOCG

Vitigno: Cortese 100 %

Gradazione: 13 % v/v

Annata: 2016

Affinamento in legno: si, barrique

Produttore: Molinetto, Francavilla Bisio

 

Il vino si presenta di un colore giallo paglierino brillante con lievi tonalità verdognole, il naso è intenso, schietto e fine con sentori fruttati e floreali, il frutto ricorda principalmente gli agrumi ma con leggeri toni di mela, così come lievi note dei fiori di arancio e limone (zàgare), leggere note di fieno. Al gusto è fresco, sapido con una buona acidità smorzata dal legno. La persistenza è buona con una spiccata nota di mandorla leggermente amarognola sul finale, il corpo è rotondo e fresco.

 

Il vitigno esprime bene in questo vino le sue caratteristiche anche se non completamente sviluppate visto il breve invecchiamento. Viene da un’area classica per la produzione di vini destinati alle ricche famiglie genovesi. La vicinanza con una città di mare dove la cucina privilegia i piatti legati alle verdure ed al pesce, specie se elaborati come per le torte di verdure o i fritti, rendono questo vino e questo vitigno ideale come accoppiamento anche per piatti  più strutturati come il fritto misto genovese o il coniglio alla ligure.


GAVI CORTESE DI GAVI

 

Oggi vediamo un “Gavi”, il classico vino bianco piemontese DOCG, prodotto esclusivamente da vitigno Cortese in purezza, nel distretto omonimo, in provincia di Alessandria. 

 

VINO: Gavi del Comune di Gavi Tipologia: Gavi, DOCG

Vitigno: Cortese 100 % Gradazione: 12.5 % v/v 

Annata: 2016

Affinamento in legno: no

Temperatura di servizio: 8-10 gradi centigradi.

Produttore: Azienda Agricola San Bernardo, Paolo Guglielmi, Gavi (AL) 

 

Il vino si presenta di un colore giallo paglierino dorato marcato, il naso è schietto, fine con leggeri sentori fruttati e balsamici, il frutto ricorda principalmente gli agrumi. Al gusto è fresco, leggermente sapido, poco acido, al retrogusto la nota agrumata è molto più evidente e piacevole. La persistenza è buona con appunto una spiccata nota di agrumi, il tono mandorlato, tipico del vitigno, risulta smorzato, il corpo è rotondo e fresco con una acidità ben equilibrata. Globalmente è un vino di pronta beva, fresco e piacevole, ancora affinabile in bottiglia. 

Il vitigno è coltivato su un terreno sabbioso, di 6.8 ha. Situato nel Comune di Gavi. L’area di produzione è quella classica.

Grazie alle sue caratteristiche, per l’accoppiamento, oltre ai piatti tipici della tradizione a base di verdure o pesce questo vino supporta anche bene piatti più strutturati, tipicamente liguri, come le carni o le frattaglie di agnello. E' anche adatto per un aperitivo o con degli antipasti, cocktail di gamberi o simili con salse leggere. 

Per curiosità o commenti potete scrivere a sommelier@divinoilvinowineshop.com